Un salve a te che leggi The Last Writer!
Oggi parliamo di temi legati a questo mondo super digitale in cui viviamo oggi e di cui sto analizzando gli effetti sempre più da vicino, soprattutto da quando ho iniziato il mio nuovo percorso di studi nell’ambito delle Digital Humanities.1
La Goodreads Challenge

Vorrei partire approfittandone per dire la mia su un tema molto caldo nell’ultimo periodo, ovvero la Reading Challenge di Goodreads. Ormai da anni, allo scoccare della mezzanotte del nuovo anno, la maggioranza dei lettori sui social (me compresa) decide quanti libri vuole leggere entro il prossimo 31 dicembre.
Partecipo personalmente alla sfida dal 2020: c’è da dire che da un lato è molto stimolante, e aiuta le povere persone disorganizzate come me a tenere traccia delle proprie letture annuali. Ma, sì, c’è un ma. “Sono un lettore meno valido se leggo un tot di libri, ma X ne legge il doppio o il triplo?” Vi siete mai fatti questa domanda?
A me è successo, come in tanti altri ambiti, di fare un confronto con un’altra persona, e sentirmi quasi come se fossi “in svantaggio” rispetto a lei perché avevo letto molti meno libri nell’arco dello stesso anno. Io amo leggere fin da quando ho imparato a farlo – forse anche da prima, quando erano gli altri a leggere per me – ma non riesco a concludere 100 letture in 365 giorni. Sono forse meno “brava”? Meno costante? Ho meno conoscenze di queste persone?
Sono tutte domande che, ovviamente, sorgono molto più facilmente in soggetti con un’autostima traballante, o in periodi, come quelli del COVID, in cui avevamo tutti molto più tempo da spendere lasciandoci andare a un infinito, e spesso controproducente, flusso di overthinking.2 Tuttavia, c’è un altro quesito che mi pongo, e con molta più urgenza: quando siamo diventate delle macchine che producono numeri, che scannerizzano parole di cui non riescono neanche più a cogliere il senso, tanta è la foga di raggiungere un obiettivo che ci faccia sentire socialmente accettati?
Penso che sia proprio di questo che si tratti: integrazione. Da quando la letteratura in digitale e – soprattutto – la mania di condividere questa passione sui social hanno cominciato a spopolare, sembra che al contempo si sia fatta strada fra i molti una voglia sempre più prepotente di mostrare anziché di assimilare, di trarre gratificazione da un numero più alto anziché da un volume dal contenuto memorabile. È nata una letteratura fatta di numeri e una gara a chi ha il feed più bello, a chi scrive più recensioni, a chi collabora di più con i grandi editori.
Questa logica si è convertita in una vera e propria trappola nella quale è più facile incappare: io stessa ci sona caduta per un breve periodo, pur essendomi ritrovata costretta, dopo la pandemia, a rallentare e ritrovare un ritmo più adatto ai miei tempi. Perché sì, è vero, durante i lockdown è stato molto più facile per me recuperare un numero più alto di letture, di godere di più tempo libero da dedicare ai miei libri; ma è anche vero che, una volta tornata alla “normalità” (o quel che più si avvicina a tale concetto), il ritmo che avevo seguito negli anni precedenti è diventato insostenibile, perché nel frattempo anche il resto della vita è tornato a correre, molte altre corse si sono aggiunte alle mie cosiddette “readathon” .3
Vorrei avere tutto il tempo del mondo da dedicare a quell’otium fatto di studio e letteratura decantato da scrittori e poeti sin dall’alba dei tempi; purtroppo, però, non sempre questo è possibile. Amo leggere tanto e a lungo, immergermi nelle parole scritte dalle penne più variegate, avventurarmi in un mondo fantastico oppure studiare fenomeni del nostro mondo attraverso la guida dell’autore in questione. Come uscire da questa mentalità? Come sfuggire allo sgretolamento delle parole davanti ad uno schema di codici e numeri?
Il mondo digitale e le IA
I miei studi attuali mi stanno portando molto a riflettere su questa tematica: le digital humanities possono definirsi come un ambiente multidisciplinare che rappresenta e ricerca costantemente un incontro fra il mondo umanistico e quello digitale: dagli archivi all’intelligenza artificiale, dai software di traduzione assistita (diversi da quelli di mera traduzione automatica, attenzione), a quelli per l’analisi dei testi, dalle ricostruzioni storiche e letterarie attraverso la convergenza di risorse digitali alla nascita di nuove forme d’arte letteraria, in cui parole e codice diventano un unico pacchetto di interoperabilità.
Questo nuovo mondo è, nel suo complesso, incredibilmente affascinante, e permette il raggiungimento di grandi risultati che sarebbero in gran parte irrealizzabili dalla sola mente umana in un lasso di tempo ridotto; tuttavia, non manca da parte mia un approccio piuttosto critico in merito ai limiti e alle misure da prendere nei confronti di queste grandi, crescenti tecnologie: come mantenere la dimensione umana nell’era in cui tutto viene asservito alla crescita dei database delle IA, quando ogni attività completata, ogni conoscenza acquisita diventa solo l’ennesimo certificato da sbandierare? Tanto ormai, sosterrà qualcuno, sono le macchine a formulare un pensiero al posto nostro, per quanto sia esso il puro riciclaggio di quello altrui: in tanti non sono in grado di notare questo fondamentale dettaglio, ed è qui che si trova la radice delle preoccupazioni di molti altri che, come me, vivono di parole e di pensiero.
Fra accademici e ricercatori c’è un grosso fervore riguardo a questo tema e ci si interroga spesso proprio a proposito delle nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, e la minaccia che potrebbero costituire per gli esseri umani.
Il futuro di ChatGPT
L’emergere dei grandi modelli di linguaggio (Large Language Models), spesso implementati in chatbot come ChatGPT,4 ha portato la maggior parte delle persone a temere la possibilità, sempre più attuale, che la mente meccanica possa superare il cervello umano non solo in termini quantitativi (cosa che ha già fatto se consideriamo velocità di processo dei dati e capacità memoria), ma anche qualitativamente, ovvero in termini di intelletto, creatività artistica, e qualsiasi altra facoltà riconosciuta come propria della mente umana. Secondo alcuni studiosi quel giorno potrebbe arrivare, ma al contrario di quanto si legge nelle iperboliche testate giornalistiche, il momento non è ancora giunto.
Uno dei motivi principali è proprio il fatto che l’intelligenza umana ha ancora un inestimabile vantaggio sulle macchine: l’etica. Nonostante l’apparenza ingannevole, infatti, dovuta al modo in cui i modelli emulano il linguaggio umano, la realtà è ben diversa: l’intelligenza artificiale non è dotata in alcun modo di senso critico e principi morali, e questo rende impossibile il suo contributo attivo a qualsiasi tipo di discussione controversa o a nuove scoperte scientifiche. Tutto ciò che l’IA generativa produce è frutto della rielaborazione di parole e frasi nate dal pensiero umano: in parole semplici, puri risultati dettati dalla statistica (“Qual è la risposta più indicata per questo prompt?”), e non dall’emotività o dalla coscienza di queste macchine. L’IA generativa, in quanto amorale, non possiedono dunque alcuna reale creatività: la sua è una mera funzionalità, derivata da un “addestramento” da parte dell’essere umano, di rielaborare e riscrivere il pensiero di quest’ultimo, assorbendo risorse dall’Internet e altre enormi banche di dati. E, riguardo a questo punto in particolare, fortunatamente, sono state messe in atto molte restrizioni da parte di grandi risorse del web, le quali hanno bloccato l’accesso degli agenti automatici ai loro database, in modo tale che non possano più essere utilizzati per questo tipo di scopi.

È stato più volte dimostrato, inoltre, che ChatGPT è tutt’altro che uno strumento infallibile: molto spesso, infatti, commette errori e produce affermazioni sbagliate. Per questo, nonostante possa rivelarsi a volte un utile strumento, e per questo potrebbe non essere del tutto condannabile, bisogna sempre prenderne gli output con le pinze, e verificarne il contenuto. In tal senso, e in molti altri, non si può ancora in alcun modo prescindere dall’intervento e dal senso critico umano, perlomeno in un contesto rigoroso come possono essere quello letterario o di ricerca.
Quindi, nonostante i danni già enormi causati soprattutto in ambito artistico – i quali non vanno sottovalutati, ma denunciati e contestati – possiamo ancora contare sul fatto che non sarà di certo oggi o domani il giorno in cui le IA sostituiranno in modo definitivo il lavoro della mente umana, o si metteranno a scrivere libri per noi e ci surclasseranno nella scala sociale. Possiamo affermare con certezza che questo giorno è ancora lontano – e per fortuna, aggiungerei! È bene però incoraggiare anche le regolamentazioni che si sta cercando di introdurre in tal senso, in modo tale da tutelare il più possibile le persone interessate, il cui lavoro può essere gravemente leso da questo fenomeno (e qui, in quanto scrittrice, mi autoincludo).
Conclusioni
Questa riflessione ci porta a rispondere a molte altre domande che sorgono oggi nell’era del digitale: a che serve studiare ancora la linguistica, la matematica, la scienza, la letteratura, quando ormai le macchine “lo fanno per noi”? Se non ci adeguiamo a certe norme attuali, veniamo formalmente esclusi da un circolo invisibile, dove solo chi ne fa parte può accedere alle discussioni ed essere ritenuto in grado di comprenderle?
Più che un mezzo di crescita personale, la gara social-letteraria diventa un mezzo per costruirsi uno status che può proteggere e portare al vantaggio in questa società perennemente in corsa.
Certo è che le tecnologie sono ancora ben lontane dal prendere il sopravvento sulla mente umana a tal punto da sottometterla, pertanto converrebbe aggrapparsi a quello che è il valore più autentico che ancora ci permette di rimanere in una posizione di vantaggio: il contenuto, l’etica, la ragione. Tutto ciò che è racchiuso fra le pagine di un libro, sia esso digitale o cartaceo, che la nostra mente può ancora apprezzare – e soprattutto concepire – meglio di qualsiasi macchina, a condizione di mantenere costante l’allenamento del senso critico e attiva la ricerca di nuova conoscenza.
È anche per questo motivo che nel 2024 ho abbassato drasticamente l’asticella della mia Goodreads Challenge: voglio godermi le mie letture appieno, senza temere di essere esclusa da nessun fantomatico status solo perché non ho letto 167 libri, ma solo 10. Quel 10 varrà 1000 se avrò trovato dei libri che rendano la mia esperienza di lettura memorabile e che lascino un segno indelebile sulla mia anima. Gli algoritmi potranno penalizzarmi, ma la mia persona non potrà che essere arricchita da questa scelta.
Voi che cosa ne pensate? Mi farebbe tantissimo piacere discutere con voi, qui o su Instagram (link al post dedicato qui), sia riguardo a Goodreads e i social, sia riguardo alle nuove tecnologie odierne. Li trovo spunti di riflessione incredibilmente interessanti.
Per oggi è tutto, alla prossima!
Un abbraccio e a presto,
Ariadne.
- Campo di ricerche interdisciplinari il cui oggetto è lo studio degli artefatti e dei processi culturali, tradizionale dominio delle scienze umane, nelle loro varie forme espressive (testi, immagini, suoni, video, ecc.), con metodologie, linguaggi e strumenti informatici. (Enciclopedia Treccani, informatica umanistica, 26/01/2024). ↩︎
- Termine anglofono che sta ad indicare il processo di “pensare troppo”, quel flusso di pensieri, spesso intrusivi, al quale si può cedere quando si è da soli con la propria mente. ↩︎
- Termine preso in prestito dallo slang anglofono per indicare una maratona di lettura, nata dalla contrazione dell’espressione “reading marathon”. ↩︎
- Modello di intelligenza artificiale generativa rilasciato pubblicamente da OpenAI nel novembre 2022. ↩︎








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