“Scrivere per il female gaze” ft. LudiTales – Indiezine, Il Labirinto di Parole #2

Questa settimana è piena di cose nuove, e io sono molto felice di questo!

Premessa

In questo secondo post per la serie del Labirinto di Parole (che, vi ricordo, ha sempre le porte aperte – vi rimando al post su IG) voglio portarvi un contenuto scritto da me, ma che ho avuto il piacere di vedere pubblicato sull’uscita numero 6 di Indiezine, la meravigliosa iniziativa di LudiTales che consiste in una rivista online completamente gratuita che a cadenza bimestrale offre un sacco di spunti super interessanti sul panorama indipendente dell’editoria italiana: articoli, recensioni, racconti, interviste, giochi, e molto altro, ogni volta ispirati a un tema diverso! Un lavoro che trasuda cura e passione, il tutto accompagnato anche da un lavoro grafico eccezionale. Sono contentissima di aver potuto dare un mio personale, piccolo contributo al progetto, e spero che ci saranno occasioni di ripete in futuro! Vi lascio qui il link diretto al loro shop su ko-fi, dove potrete scaricare in modo completamente gratuito tutte le uscite di Indiezine disponibili ad oggi e anche alcuni giochi realizzati dal team di LudiTales: https://ko-fi.com/luditales/shop. (P.S. E, se potete, vi incoraggerei anche a lasciare una tip per sostenere il lavoro che questo team pazzesco fa per portare gratuitamente tantissimi contenuti di alta qualità.)

Per l’ultima uscita dello scorso 25 novembre, dal titolo “Rappresentare” e dedicata al tema della rappresentazione femminile nelle storie, ho avuto la possibilità (grazie all’IndiePass vinto partecipando ai giochini settimanali organizzati da LudiTales su Instagram!) di contribuire con un mio articolo, che ci tenevo a riproporre anche qui su The Last Writer, il mio posto sicuro, il mio labirinto di parole. Quindi adesso, senza altri convenevoli, vi lascio all’articolo che parla già da sé!

Scrivere per il female gaze

Che cosa vuol dire «male gaze» o «female gaze»?
Ne sentiamo sempre più spesso parlare nel mondo dei media, e anche la narrativa letteraria non è esente da queste terminologie. Alcune influenze, però, si sono rivelate nel tempo potenzialmente dannose, ed è bene imparare a riconoscerle anche in un contesto di finzione, dove l’attento lettore è sempre più veloce a rintracciare pattern pericolosi nel testo che si trova fra le mani.

Il termine «male gaze», nell’accezione del femminile come mero oggetto del desiderio maschile, si è diffuso intorno agli anni Settanta, in particolare nell’ambito dei film studies. Laura Mulvey, importante esponente della critica cinematografica femminista, nel suo Visual Pleasure and Narrative Cinema (1975) parla di male gaze in riferimento a una rappresentazione estremamente sessualizzante della donna, che richiama in modo esplicito lo sguardo e il desiderio della controparte maschile, instaurando una dinamica di dominazione di tipo soggetto-oggetto. Rappresentare la sensualità in sé non è dannoso e tanto meno condannabile, ma la base del problema sta nel modo in cui essa è concepita: Mulvey sottolinea come la presenza della donna nel cinema narrativo sia un fondamentale elemento attrattivo, il quale si riduce però spesso al solo scopo di contemplazione erotica (“la donna come immagine, l’uomo come portatore dello sguardo”) e di soddisfazione in generale dei bisogni fisici, psichici e sociali dell’individualità maschile. A tale proposito, la critica fa anche riferimento a Budd Boetticher, il quale sottolinea come da tali contesti emerga che quello che conta è ciò che l’eroina “suscita”, e non ciò che rappresenta. Nel cinema, così come nella letteratura, questo aspetto trascende la dimensione narrativa e si riflette anche all’esterno, attirando allo stesso modo lo sguardo del pubblico maschile.

Per «female gaze», al contrario, si intende “guardare il femminile con occhi femminili”. Ma che cosa vuol dire? Qual è la differenza nel concreto?

Se da una parte il male gaze raggruppa tutte quelle tendenze ereditate da secoli di tradizione patriarcale che hanno comportato de facto per lungo tempo un mancato riconoscimento delle libertà e dei diritti fondamentali della donna e di altre minoranze, dall’altra il female gaze si contrappone a tale visione e guarda alla donna come un soggetto completo, dotato di intelligenza, una sfera emotiva e delle capacità: non più solo un corpo. Ma non lasciamoci limitare da questa distinzione binaria: dinamiche di male e female gaze si possono ritrovare in soggetti di qualsiasi genere.

(In foto: Noely Di Emiliano Vittoriosi, pexels.com)

Quando scriviamo, soprattutto nei generi romance e affini, è molto facile incontrare casi di questo tipo. Ma come riconoscere le varie tendenze e come non cadere in trappole pericolose? Vediamo qualche piccolissimo esempio concettuale.


Male gaze

  • Personaggio femminile con posizione secondaria (migliore amica, dama da salvare, al centro di un triangolo amoroso che causa un conflitto) che non ha alcuna crescita o individualità, ma è solo strumentalizzato per uno scopo narrativo preciso
  • Personaggio femminile del quale, pur essendo protagonista, non emergono quasi mai il talento o le azioni, ma viene elogiato soltanto per la sua bellezza o le sue doti ammaliatrici
  • Nel romance, la controparte (molto spesso di genere maschile, ma non necessariamente) si riferisce quasi sempre alla partner con frasi che richiamano possesso, ricatto morale, controllo fisico e mentale, che mettono l’altra parte nella posizione di non scegliere per se stessa, ma esclusivamente in funzione della coppia, creando dinamiche tossiche e di co-dipendenza
  • Elementi di violenza e squilibrio di potere, secondo le visioni prettamente eteronormative e misogine

Female gaze

  • Il personaggio è tridimensionale: ha una storia, delle capacità concrete, una sensibilità e dei sentimenti, uno sviluppo personale; il suo percorso è funzionale all’avanzamento della trama, non un mero “oggetto di scena” o espediente narrativo
  • La protagonista vive la propria sessualità (se rappresentata, dove funzionale) come e quando vuole, consapevolmente, non per compiacere gli altri
  • È padrona della propria immagine, ma non la rende uno strumento
  • Vive connessioni autentiche, non forzate, basate su un percorso di crescita che avviene da entrambe le parti
  • Sa di poter scegliere, e riconosce che sia sbagliato quando qualcuno glielo nega: sceglie se vuole essere un genitore oppure no, dove vivere, quale carriera avere, se avere una relazione o meno, e soprattutto con chi, ha dei limiti personali e ne pretende il rispetto

Sebbene adesso ci sia molta più consapevolezza riguardo a queste tematiche rispetto a qualche decennio fa, a volte tendiamo ancora, anche inconsciamente, a incappare in dinamiche di male gaze quando scriviamo. Perché?
Indubbiamente, l’influenza dei grandi modelli cinematografici e letterari d’oltreoceano gioca il suo ruolo: il panorama americano è sempre stato la culla di molti di questi elementi, che anche qui in Italia hanno trovato terreno fertile – seppur con le giuste eccezioni. Ci sarebbe da aggiungere che, nonostante i progressi fatti, in molti ambiti sembra esserci ancora una grande “paura” di reclamare uno spazio puramente femminile (proprio fra le donne stesse), che decentri la controparte maschile e annesse dinamiche di violenza e disparità: fenomeni perfettamente osservabili nell’arte così come nella vita quotidiana e lavorativa.

Il panorama editoriale è oggi molto più variegato, e in particolare nella sfera indipendente nuove forme di rappresentazione stanno (per fortuna) prendendo piede. È poi un dato di fatto che queste emergano, seppur non esclusivamente, soprattutto in contesti di rappresentazione queer, esemplare della volontà di sovvertire i valori tradizionali e di reclamare uno spazio personale dignitoso e autentico, uno sguardo proprio e diverso da quello marginale e stereotipato che ha costituito a tutti gli effetti una gabbia ideologica per anni.

È doveroso sottolineare anche come lo sguardo femminile non sia da relegare esclusivamente a un contesto di ammirazione platonica, in quanto anche il desiderio ne fa parte: esso non vuole implicare una “purificazione” massiva dei contenuti, anche perché la sfera erotica, contrariamente a come si potrebbe pensare, non va demonizzata in quanto non intrinsecamente errata o immorale; è solo importante fare attenzione a non cadere in dinamiche oggettificanti o nella strumentalizzazione vuota di tali elementi, quando li si vuole trattare. Così come non deve essere un obbligo includerli “solo perché vendono”.
Allo stesso modo, scrivere per il female gaze non vuol dire eliminare completamente descrizioni di realtà tossiche o abusi (e delineare, per esempio, solo scenari rosei e utopici): semplicemente cambia il modo di rappresentarle, ovvero senza romanticizzarle, ma presentandole per quello che sono e come parte dell’evoluzione dei personaggi (in meglio o in peggio, a seconda di ciò che si vuole raccontare).

Infine (e qui ci sarebbe da aprire tutta un’altra parentesi), il male gaze può esistere anche in una relazione formata da due donne, da persone che non si identificano come uomini o comunque in relazioni che non rientrano nella sfera dell’eteronormatività, come si può chiaramente osservare, ad esempio, in quelle dinamiche saffiche scritte puramente per compiacere l’occhio maschile, molto comuni già più di un ventennio fa e che per anni sono state le uniche “briciole” di rappresentazione di cui le persone hanno dovuto accontentarsi. In casi del genere, è tipico trovare elementi che sembrano più uscire dalle fantasie perverse di un osservatore uomo, bianco, cis ed eterosessuale medio, anziché un’immagine veritiera e più “umanizzata” della relazione.

La speranza ultima è quella di vedere sempre più contenuti liberi dalle catene del passato, oramai strette, non solo nella piccola e media editoria (che già sta facendo dei passi avanti), ma anche nei prodotti mainstream. Una ventata d’aria fresca che soprattutto in alcune realtà indipendenti in parte già si respira, ma con l’auspicio che porti presto con sé un po’ del cambiamento anche su più larga scala.


E anche per questa volta è tutto: alla prossima!
Un abbraccio,

Ariadne Taylor
The Last Writer

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Ariadne Taylor

Come la principessa di Creta, possiedo un filo. Lei lo usò in un oscuro labirinto per liberare se stessa; io lo sciolgo in un labirinto di parole per liberare le mie storie.
Seguilo per scoprirle.